Giovane, immigrata: è questo il profilo del lavoratore domestico |
Scritto da Natascia |
Mercoledì 14 Luglio 2010 08:53 |
Roma, 13 lug. (Labitalia) - Donna, giovane, immigrata: è questo il profilo del lavoratore domestico che emerge dall'indagine Censis 'Dare casa alla sicurezza. Rischi e prevenzione per i lavoratori domestici', condotta su un campione di 997 lavoratori, con il contributo del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, e presentata oggi nella sede del Cnel. Secondo l'indagine, il 71,6% dei collaboratori è infatti rappresentato da stranieri, provenienti in prevalenza dall'Europa dell'Est, Romania (19,4%), Ucraina (10,4%), Polonia (7,7%) e Moldavia (6,2%), ma sono numerosi anche i Filippini (9%). Dall'indagine emerge l'immagine di un 'aiutante' che accompagna la famiglia in tutti i diversi compiti che giornalmente è chiamata a svolgere, compiti che in alcuni casi, assistenza in particolare, richiedono anche competenze specifiche. E, infatti, c'è da ricordare che ben il 13,2% dei collaboratori domestici ha seguito dei corsi professionalizzanti, per lo più da infermiere (9,4%), percentuale che risulta mediamente più alta tra gli stranieri e le lavoratrici più anziane. Si tratta di un valore ancora basso, ma che contribuisce a confermare la sensazione di una categoria all'interno della quale vanno emergendo elementi di professionalizzazione che, sebbene sembrino ancora poco apprezzati dal mercato, ne stanno ridefinendo il ruolo. Una distinzione abbastanza netta, secondo la ricerca, va fatta tra quanti lavorano al servizio per una sola famiglia, e quanti, al contrario, svolgono la loro attività per diversi clienti. Nel primo caso, infatti, ci si trova di fronte a un ruolo che, pur andandosi sempre più professionalizzandosi, resta tuttavia ancora di confine tra il famigliare e il professionale, non fosse altro perché nel 44,8% dei casi chi lavora per una sola famiglia alloggia presso la stessa (sono in media il 26,5% i lavoratori domestici che dormono presso le famiglie per cui lavorano), il che comporta implicazioni di tipo relazionale, che fanno sì che il collaboratore venga percepito a tutti gli effetti come un vero e proprio membro supplente, cui sono delegate gran parte delle incombenze svolte dalle famiglie. In questo caso, infatti, il profilo multifunzionale del collaboratore diventa ancora più accentuato e le mansioni cui è preposto si moltiplicano: dalla preparazione del pranzo e della cena (60,1%), all'accudimento degli anziani (51%), dall'assistenza notturna (31,3%), all'assistenza medica di persone che hanno bisogno (32,3%), dalla compagnia ai membri della famiglia (39,5%), alla sorveglianza stessa dell'immobile (20,3%), fino al disbrigo di pratiche amministrative o commissioni varie (20,8%). Ciò comporta evidentemente un aggravio di lavoro, considerato che il 50,1% di questi (contro il 42,3% di quanti lavorano per più famiglie) lavora più di 35 ore la settimana, e addirittura il 26,3% (contro il 16,6%) più di 40. Sebbene il mercato sia ancora lontano dal riconoscere e apprezzare, anche economicamente, la crescita di professionalità che questo gruppo di lavoratori ha vissuto negli ultimi anni, colf e badanti hanno visto comunque aumentare la propria forza contrattuale. Analizzando le entrate nette mensili derivanti dal lavoro svolto, infatti, il panorama appare abbastanza articolato. Se la maggioranza si colloca sotto la soglia dei 1.000 euro netti al mese (il 22,9% guadagna meno di 600 euro, il 20,2% da 600 a 800 euro netti al mese, il 24,5% tra 800 e 1.000), vi è una fetta consistente, il 32,4%, che sta sopra la soglia dei 1.000 euro e, di questi, il 14,6% supera i 1.200 netti al mese. Sotto il profilo contrattuale, l'irregolarità, secondo il Censis, continua a rappresentare una condizione estremamente diffusa. Malgrado l'impegno anche recentemente profuso a far emergere l'occupazione del settore (la regolarizzazione del settembre 2009 ha fatto emergere circa 300 mila lavoratori), la maggioranza dei collaboratori domestici lavora in condizioni di semi o totale irregolarità. Il 39,8% gli intervistati, infatti, dichiara di essere totalmente irregolare, mentre sono il 22% quelli che si districano in una 'giungla' fatta di rapporti a volte regolari, altre volte no, o rispetto ai quali vengono versati contributi per un orario inferiore a quello effettivamente lavorato. A fronte di questa maggioranza, pari complessivamente al 61,8% degli intervistati, vi è invece un 38,2% che dichiara di svolgere un lavoro totalmente regolare. E, sempre secondo i dati della ricerca, su cento ore di lavoro di un collaboratore, sono soltanto 42,4 quelle per cui vengono effettivamente versati i contributi; ciò significa che quasi 6 ore di lavoro su dieci risultano prive di qualsiasi forma di copertura previdenziale. Al Sud, il livello di irregolarità sale al 72,7%, con il 58,8% dei lavoratori (contro il 24,4% del Nord-Ovest e il 38,8% del Centro) che dichiarano di essere totalmente irregolari, e il 13,9% parzialmente irregolari. Più alto risulta anche il livello di contribuzione evasa, considerato che su 100 ore lavorate solo 24,8 sono coperte da contributi. Il fenomeno dell'irregolarità colpisce maggiormente i lavoratori giovani (è totalmente irregolare il 56,3% dei giovani sotto i 30 anni) e inesperti (48% dei lavoratori con meno di quattro anni di anzianità, ben al di sopra del 30% di chi ne ha almeno dieci). Inoltre, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, sono gli italiani ad essere maggiormente coinvolti nel fenomeno: lavora infatti completamente in nero il 34,7% degli stranieri e il 53,9% degli italiani.
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